venerdì 6 maggio 2016

"D" come diligenza

Delle varie forme di irrequietezza dell'animo ve n'è una che si traveste di diligenza. Sottratta alla pacatezza e alla serenità cui l'essere umano - oltre una certa età - aspira, assume piuttosto sembianze curiose, quiescenti ma non del tutto, pronte ad animarsi dinnanzi lo spettatore giusto. Magari proprio il proprio capo o l'uomo che può.

Che bizzarria questa diligenza! Per essere notata necessita di una sufficientemente rumorosa ostentazione. E si, perché cosa vuoi che urli un culo appiattito da otto ore di lavoro e una aggiuntiva di inutili straordinari non retribuiti? Chissà cosa avranno da dire le vene di quel lavoratore così diligente da non alzarsi mai dalla sedia, nemmeno per far fluire il sangue dal cuore all'alluce.
Ma è evidentemente ampio l'appagamento provato nel poggiare le proprie membra su una poltrona, feticcio che alcuni mai vorrebbero lasciare al punto da beggiare un ora dopo il dovuto e ritornare alla seduta prima ancora che l'ultimo accenno dell'orma della propria figura sia riassorbito dall'imbottitura.
Trattasi, a ben vedere, di una dote che quasi incolla ma lascia libero l'attore di esibirsi in piroette metafisiche sui massimi sistemi. Ma solo al momento opportuno. Sicché, compiaciuto del risultato ottenuto in visibilità, il diligente fa ritorno alla propria diligenza in un'attesa paziente del presentarsi della prossima occasione di dar spettacolo di sé e delle proprie ferree e superbe doti di volontà.

mercoledì 20 aprile 2016

"C" come Cento vite


Avevo come la sensazione di avere accanto un uomo che aveva vissuto cento vite prima dell’attuale.
Considerato che al giorno d’oggi l’aspettativa media alla nascita è stimata in 71,4 anni, era come parlare ad un astronomo che aveva assistito ad oltre 26 mila albe ed altrettanti tramonti.
Penso dipendesse da questo il suo essere laconico ed incline ad una malinconica ironia che tutto pervade.

- Il paradosso sai dov’è? Nel fatto che tu abbia tentato di mettere in barattolo la luce. Non c’è chiusura ermetica che, ovviamente, ne possa fare conserva. Ma al tempo stesso, non può esserci conserva senza un adeguato riparo dalla luce. –


Restai immobile a fissare l'abatjour fai da me. Ci avevo messo dell’estro nel crealo ma non era la mia creatività ciò che risultava visibile al suo occhio. Da qualche parte, in qualcuna delle sue molte vite reali o interiori, doveva aver imparato a leggere dentro le persone, ad interpretarne le intenzioni recondite e le azioni compiute. Dove altri avrebbero visto un’originale combinazione di semplici lucine e materiali da riciclo lui leggeva l’intricata trama del mio libro.  

Una foto pubblicata da elisa.sovarino (@elisasovarino) in data:


- È un regalo che non posso accettare. Non posso lasciarti commettere l’errore di credere che ci siano cose a questo mondo che si possano addomesticare a piacimento. Il solo modo che ho di sentire il tuo calore è lasciare che questo mi passi attraverso. So che può apparire complesso, ma vorrei che provassi a fare altrettanto. Nel controllo c’è schiavitù, piuttosto vorrei che mi rendessi libero. –

Sollevai il coperchio di vetro e girando i polsi verso di lui come a volerne esibire la guaina interna esclamai con una fresca fermezza:
- Adesso puoi. -   

Sorrise e mi baciò.

  

mercoledì 13 aprile 2016

"G" come giardini dell'anima


Il botanico di Agadir si portava addosso l’odore dei tanti paesi che aveva conosciuto. C’era qualcosa in lui di Madrid e prima ancora di Londra, città in cui aveva lavorato come esperto della Worshipful Society of Apothecaries. Profumava dello zenzero degli splendidi giardini di Singapore misto a un punta di ciliegio caratteristica del koishikawa korakuen garden di Tokyo.

La barba poco curata, se ne stava seduto quasi accovacciato. Quasi a voler nascondere il completo scuro e stropicciato o la scheggiatura sulla lente bifocale sinistra.

Nulla del suo aspetto, per quanto trasandato, mi aveva colpito. Ero rapita dalla sua grafia. Un lettering perfetto, annotato su un moleskin con copertina cobalto. Una calligrafia da designer.

Sarà un artista – mi dissi – un architetto o un illustratore a giudicare dalle proporzioni perfette del suo tratto e dalla penna gel uni-ball eye made in Japan tra le sue dita. Che armonia in quelle pagine e in quegli schizzi, notazioni cristallizzate su carta, tra le fermate di una metro affollata di passeggeri distratti e assonnati.

Protetto dall’anonimato, garantito dal naturale essere di passaggio dei viaggiatori, il botanico di Agadir studiava assorto la disposizione di peonie e gladioli, tipiche piante marocchine, nel terrazzo del suo primo – e forse unico – committente.

Sulla capacità di resistenza delle orchidee, la condensa della serra berlinese, il Grobe Tropenhaus, si impadronì dei suoi occhi. Quelle piante dovevano ricordargli un amore perduto, un figlio lontano, una vita da migrante nei giardini del mondo e dell’anima. Su quel punto, raggiunta la banchina della stazione centrale, chiuse il blocco e con esso, la finestra sul suo mondo segreto.

sabato 9 aprile 2016

"T" come tremilacinquentonovantotto mail

"Due cose mi sono sembrate ben più  《amare》..."

Così iniziava la mail che E. mi aveva spedito - probabilmente di getto - alle 9:47 del giorno seguente la nostra serata in dipartimento. Fortunatamente la notifica a comparsa del suo messaggio mi aveva raggiunto in un momento  (ultimamente raro) di solitudine. E prima ancora che modificassi le impostazioni di lettura messaggi  del mio smartphone, la curiosità mi fece suo. Cliccai sull'icona della posta in arrivo e proseguii la lettura.

"Due cose mi sono sembrate ben più  《amare》.  La tua affermazione 《basta qui dentro》, perché non esiste un al di fuori questo laboratorio; e il tuo 《 basta qui dentro 》subito dopo il nostro ennesimo cedimento qui dentro. I gusti sono gusti e per quanto mi riguarda l'unico piacere amaro resta il caffè.  Le altre cose della vita le preferisco dolci. E, infondo, sono una che crede di meritarla una vita di praline a colori. Questo mercoledì me lo prendo di pause-caffé e di pausa da te."

Era chiaro, da quanto leggevo che lei avesse colto le mie difficoltà e i miei sensi di colpa dopo averla baciata, baciata a lungo. Era chiaro che viveva la nostra clandestinità con un certo sforzo e che le mie montagne russe emotive cominciavano ad apparirle insensate e insopportabili.

giovedì 7 aprile 2016

“R” come… Raggio

Il giorno in cui mi vide non si sarebbe mai immaginato che la geometria del mio movimento sarebbe divenuta la sua. Non avrebbe mai detto che con me avrebbe esplorato città d’arte e sentieri di campagna.



 Previsioni e pronostici non contano più quando le distanze attorno al punto si fanno incerte, si fanno labili.

Dopotutto, neanche io avrei mai immaginato me stessa, di bianco vestita, andare incontro alla ruggine del tempo indissolubilmente stretta ad un corpo illuminato. Il mio cuore, tra il mozzo e al centro dei miei raggi, mentre arreda l’urbano e offende il decoro cittadino gode di uno spettacolo eterno e s’incanta al tramonto mentre attarda lo sguardo sulle ombre delle nostre silhouette lungo l’imperiale via dei fori.  
Una foto pubblicata da elisa.sovarino (@elisasovarino) in data:

mercoledì 6 aprile 2016

"E" come entusiasmo

"Molte sono le cose che possono andare perse senza sentirne la mancanza.  Alcune perdite sono difatti necessarie al corretto funzionamento degli ingranaggi, altrimenti compressi da eccessivi ed inutili fardelli.” Così, Marcello insonorizzò – per modo di dire e per non più di qualche istante–  i trapananti ed inquieti pensieri di Madame, la proprietaria di casa.

Sovrapposta l’ennesima tonalità di vernice alla parete, l’omone che aveva preferito apprendere un mestiere alla scuola, dando prova di maestria intellettiva oltre che di restauro,  aggiunse: “Tutto sta nel padroneggiare con sapienza l’arte dei nodi marinari di modo che a sfilarsi sia sempre e soltanto quanto di più  superfluo, e non anche quei beni capaci di scandire i nostri giorni che, di contro, restano pertanto ben saldi al nostro panciotto. Proprio come si fa con gli orologi da taschino, vede?! 

L’espressione della padrona di casa si fece dubbiosa. Madame, non solo non riusciva ad afferrare quale tonalità potesse garantire la resa migliore per la sua sala da pranzo ma mostrava qualche difficoltà anche rispetto a quella conversazione. Esattamente come tutto il resto dei lavori sul maniero – in divenire – anche quel dialogo iniziava ad apparirle sconnesso.

L’entusiasmo, Madame, l’entusiasmo è un buon esempio di ciò di cui parlo. Quando perso - sentenziò Marcello mostrando ancor più da vicino a Madame il suo bell’orologio da taschino - con esso si fanno manchevoli gli stimoli e sull’onda di ritmi routinari, rallentanti dalla mancanza di sogni, viviamo una vita da automi.  Smettiamo di essere noi e ci omologhiamo a delle macchine, meno oliate ed efficienti di queste ultime però. Che altro motivo avrei di porgerle queste mani variopinte di vernice se non fosse altro che per farle notare il nodo di scocca che tiene il mio orologio?

A quel punto fu chiaro a Madame che nella sua casa, nel cuore della Provenza, un tocco di verde mare, ondeggiante e vitale fosse esattamente ciò che più le si confaceva.